I cicli della qualità e del problem solving

Un collega mi ha segnalato che, durante una trasmissione televisiva, il meteorologo Mercalli ha citato un ciclo metodologico che gli è suonato nuovo. Si tratta di STOP, Sit-Think-Observe-Plan. Gli anglosassoni hanno una predilezione per la generazione di questi acronimi semplici, sintetici ed efficaci, e in particolare l’area della Qualità ne è ricchissima. La pietra d’angolo del Total Quality Management è il ciclo PDCA, Plan-Do-Check-Act, che il suo autore (o divulgatore, secondo alcuni) W. E. Deming in un secondo tempo modificò in Plan-Do-Study-Act, a sottolineare che controllare non basta e lo studio e la comprensione sono essenziali. Il PDCA è un approccio a qualsiasi attività si voglia svolgere secondo i dettami della qualità: nella fase di Plan si descrive la situazione, si fissano gli obiettivi, si raccolgono i dati e si definiscono le azioni per il raggiungimento del risultato atteso. La fase Do non è solamente un fare secondo quanto pianificato, ma raccogliere informazioni e dati per monitorarne lo svolgimento, che sono analizzati nella terza fase, Check. L’esito del controllo – sia del processo con cui si è arrivati al risultato che del risultato stesso – può confermare la riuscita dell’intervento oppure evidenziare dove e come è fallito. Sarà la quarta fase, Act, a consolidare il processo che è stato seguito o a predisporre un nuovo giro per correggere quanto non andato bene al fine del raggiungimento dell’obiettivo.

La disciplina del SixSigma utilizza il DMAIC, Define-Measure-Analyse-Improve-Control, per affrontare e risolvere le cause di errore e variabilità eccessiva nei processi produttivi (e non). Prende le mosse dalla definizione del problema in modo quantitativo, specializza le misure necessarie all’analisi, individua gli interventi per il miglioramento e li pianifica, e mantiene il controllo sia sul processo che sul risultato finale. Applicato in modo ricorsivo, il DMAIC consente di ripulire un processo produttivo dai problemi che ne minano la riproducibilità, in modo che i parametri del processo siano distribuiti secondo una gaussiana che sia contenuta per 6 sigma (deviazioni standard) all’interno dell’intervallo di operatività consentito.

Altri cicli, pur se non identificati da acronimi più o meno significativi, si trovano numerosissimi sotto il cappello del problem solving, che è un processo ricorsivo rappresentati da ruote che individuano i passi per la risoluzione metodologica dei problemi. Hanno di solito da 6 a 8 step e comprendono, più o meno esplicitamente ma in rigoroso ordine metodologico, la definizione del problema con la raccolta dei dati, l’analisi della situazione, l’individuazione della causa, la generazione di soluzioni, la fase decisionale, la fase di pianificazione, l’esecuzione e il controllo finale. Seguire il metodo garantisce la qualità della soluzione,  mancare l’obiettivo alla fine del percorso impone un altro giro di ruota.

Negli ambienti dell’aviazione militare statunitense si utilizza il ciclo di Boyd, OODA, Observe-Orient-Decide-Act, per supportare la presa di decisione durante le fasi del combattimento. Per fortuna, questo approccio è migrato anche in altri campi meno violenti, tra cui lo sport, il project management o il commerciale. Anche questo ciclo è inteso per un uso ricorsivo e immediato, allo scopo di correggere in tempo reale le decisioni e le azioni che ne conseguono.

Infine, STOP, Sit-Think-Observe-Plan, che è nato negli ambienti degli sport estremi, in cui può succedere di trovarsi in situazioni di pericolo e conviene non perdere la calma, per concentrarsi sulla ricerca di una (rapida) soluzione. Si incastona perfettamente con le prime fasi dei cicli già visti, quando è opportuno non precipitare l’azione – come spesso si è tentati di fare, avanzando soluzioni suggerite dall’esperienza su casi apparentemente analoghi prima di aver compreso esattamente il quadro del problema. Al plan dovrà fare seguito un’azione, che nell’acronimo non è evidenziata.

Tutti questi metodi suggeriscono un’attenta valutazione della situazione, supportata dalla raccolta di dati oggettivi, prima di prendere qualsiasi decisione. La teoria del problem solving sostiene che il 50% del tempo e dell’effort nella risoluzione dei un problema è di solito concentrato proprio nella fase di raccolta dati e analisi.

Quindi, se vogliamo estrarre una sintesi, lo schema in figura mostra quanto devono essere curate e presidiate le fasi iniziali, che conquistano un’attenzione particolare in tutti questi metodi; dall’altra parte, PDCA, DMAIC e ruota del problem solving si mostrano più completi, accompagnando fino alla verifica del risultato e al consolidamento delle lezioni apprese. Il trucco, per OODA come per STOP fino a PDCA e DMAIC o ruota del problem solving, è interiorizzare il metodo e farne il proprio approccio, assimilato e messo in atto in modo naturale davanti a qualsiasi attività – sia un progetto, la risoluzione di un problema tecnico… o l’orientamento perso in una spedizione di sport estremo.

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