Negli articoli precedenti sulla gestione della ricerca scientifica siamo arrivati a proporre la qualità come approccio standard per garantire la riproducibilità di un risultato. Ma cos’è esattamente la qualità? Se vogliamo semplificare il concetto, lavorare in qualità è lavorare bene, gestendo bene il proprio lavoro. Ciò non può essere fatto senza fare esplicito riferimento a un insieme di buone pratiche, a un compendio che codifichi le esperienze di decenni e in alcuni casi anche secoli, e senza verificarne la corretta applicazione. Nella storia dell’uomo possiamo trovare molti esempi di gestione della qualità del lavoro. Nell’antico impero cinese sotto la dinastia Shang (14 ° – 11 ° secolo a.C.), venivano inviati ispettori ai fornitori della Casa Imperiale per verificare che le merci destinate all’imperatore fossero prodotte secondo precise regole; oggi parleremmo di audit. Nel Medioevo italiano (XIII secolo), le Corporazioni delle Arti e Mestieri curavano e proteggevano la qualità dei manufatti degli affiliati. Le regole interne imponevano severi controlli sull’uso di materie prime, strumenti di lavoro e tecniche di lavorazione, e venivano combattuti anche i falsi e i prodotti che non rispettavano gli standard di qualità.
Gli studiosi di qualità E. Deming e J. Juran, a metà del secolo scorso, hanno distinto tra qualità della produzione e qualità della gestione. In effetti, c’è una differenza sostanziale tra fare e gestire: fare riguarda il merito, il cosa, mentre gestire si riferisce all’organizzazione, al come. Perciò sono necessari metodi e strumenti che aiutino a svolgere meglio il lavoro, e strumenti che aiutino a organizzare e supportare la sua esecuzione.
Un po’ di confusione su questi due aspetti è una delle ragioni per cui la qualità del gestire (il come) non ha avuto uno sviluppo sufficiente: i ricercatori, giustamente orgogliosi del metodo scientifico sul quale sono improntate le loro ricerche, sono spesso restii a considerare la disciplina della qualità come utile al proprio lavoro di ricerca e immaginano di non aver niente da imparare da altri settori. Ma la ricerca oggi non è solo sperimentazione: implica la gestione di un progetto finanziato – quindi pianificazione, controllo, economia dei fondi, organizzazione dei dati -, il coordinamento di persone e gruppi di lavoro, la comunicazione interna ed esterna… I ricercatori dunque devono acquisire una nuova cultura di gestione, per non perdersi in un campo che, in prima battuta, ha poco a che fare con la ricerca scientifica e a cui nel percorso formativo non sono stati preparati. Per far fruttare al meglio le risorse a disposizione è indispensabile che un progetto di ricerca sia gestito secondo canoni di efficienza, di qualità e di sicurezza. Questi aspetti sono stati modellizzati in discipline come la Qualità o il Project Management, e per ragioni storiche ed economiche sono già stati ampiamente sviluppati in campi quali l’aeronautica, l’automotive e in generale il manifatturiero.
Ma anche la stessa qualità del fare (il cosa), concetto familiare e molto caro ai ricercatori, può trarre vantaggio da alcuni degli strumenti sviluppati nelle discipline legate al mondo industriale, a maggior ragione oggi, quando la complessità delle ricerche e la mole dei dati da analizzare pongono sfide di complessità crescente. L’adozione di modelli e strumenti di analisi, organizzazione e interpretazione dei dati sviluppati, sperimentati e maturati in altri campi può aiutare gli scienziati a migliorare il loro lavoro, garantendo risultati validi, solidi e affidabili. In una parola riproducibili.
Il trasferimento di metodi e strumenti dal mondo industriale a quello scientifico, in particolare biomedico, necessità però di una traduzione di termini e concetti in un linguaggio meno settoriale e più affine a quello del ricercatore. Nei prossimi interventi proveremo a percorrere qualche esempio di trasferimento di know-how gestionale alla ricerca.